versus festival

versus

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Il Festival
VERSUS (filmare il viaggio) è il festival internazionale del documentario di viaggio e del cammino
promosso dal Comune di San Salvatore Telesino con il contributo del GAL Titerno.

La prima volta del festival mette in scena sia produzioni e film documentari di registi già conosciuti, ma dà anche spazio a progetti indipendenti e cortometraggi che raccontano i territori rurali e i paesaggi visti attraverso gli occhi di giovani filmakers.

Versus è un progetto destinato a convivere con le comunità e i luoghi dell’area del Titerno ed è diretto e realizzato da Tabula Rasa.
VIAGGIO, MEMORIA E ALTRI MISTERI
Note “in libertà” di direzione artistica per “Versus”,
festival del documentario di viaggio
Quando ho avuto modo di conoscere questo progetto complesso, legittimamente ambizioso, per certi aspetti visionario, che ha nome “Versus”, mi è stato subito evidente come la pluralità ondivaga, ammaliante dei significati (espliciti ed adombrati) dell’antico vocabolo latino segnasse la strada del “viaggio”, nel profondo di ciò che quello scrigno di idee sarebbe stato. “Versus” ossia “contro”, dunque opposizione ma anche “versus” come “orientamento”, in direzione di qualcuno o qualcosa, misteriosa compresenza “scontro/incontro”, di contatto che procede nel dubbio, nella difformità, nel dissenso non di rado conflittuale, ma che cerca al contempo la scoperta dell’altro e dell’altrove. Ed allora “versus” diviene un abbraccio nel quale si conosce e si viene ri-conosciuti, nella percezione dell’alterità ed al contempo della comunanza, viaggio alla volta di quella “coniuctio oppositorum” che richiede inderogabilmente di essere percorso con coraggio, esperito nei labirinti del differente e del molteplice, soprattutto fino in fondo vissuto. Sullo sfondo, ineludibile incanto, “versus” rimanda anche al verso quale “segmento poetico”, che fu cadenzato in epoca classica secondo multiforme prosodia e metrica, dunque alla dimensione della poesia che varia di toni, accenti, colori, all’arte della parola, della com-posizione poetica che fiorisce nella verità delle cose fino a trascenderle. Riguardo lo specifico rapporto con la nozione di viaggio, nelle sue interminate metamorfosi, sorgono immediati flussi di ricordi, in particolare memorie dal sapora quasi “archetipico” che vanno dall’Odissea omerica a quella spaziale del poema cinematografico di Kubrick, passando per l’itinerario oltremondano di messer Durante, ossia Dante, degli Alighieri. Ma, in tema di viaggio, le innumerevoli possibilità di associazioni nelle aree della letteratura, dell’arte, della psicologia e della filosofia suggeriscono di non accennare neanche a quel che risulterebbe, grosso modo, un elenco di minuziosa erudizione, certo, ma placidamente sospeso tra vette di noia ed abissi di pesantezza. Possiamo tuttavia soffermarci brevemente su ciò che si palesa fra gli elementi essenziali, nell’esperienza del viaggio (e nel documentario del viaggio), ovvero la memoria. Va detto che anche la riflessione sulla memoria può orientarsi verso orizzonti culturali praticamente sconfinati. Eppure c’è qualcosa che attira magneticamente l’attenzione e ci piace sottolineare, pensando ai nuovi, per certi versi inaspettati orizzonti della filosofia e della fisica moderna e contemporanea, laddove la memoria – come fenomeno relazionato al tempo – perde addirittura il suo “normale” ancoraggio al passato per fluttuare in collocazioni temporali (o a-temporali) imprevedibili. Passato, presente, futuro, appaiono quali nozioni in crisi, con le acquisizioni della fisica quantistica come anche della relatività (a proposito di memoria, nel 1915 – dunque un secolo fa – veniva pubblicato “Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie” di Einstein).

O almeno, il concetto di tempo unidirezionale – già atavicamente “superato” da alcune civiltà cosiddette primitive, ad esempio quella degli Hopi, fra le più antiche popolazioni amerinde –, il tempo consuetamente concepito come sequenziale di unità cronologiche in un unico senso di decorso, mostra crepe profondissime. E dunque il pensiero umano, almeno nelle sue propaggini più audaci, si affaccia ormai sugli abissi del tempo multidimensionale, spesso coniugato alla sincronicità junghiana, dove tutto è nella contemporaneità e le categorie temporali del passato o del futuro risultano solo distorsioni della nostra limitata percezione tridimensionale. Qualcosa che, in certo senso e misura, evoca i “flussi di coscienza”, refrattari ai limiti cronologici e persino – nella loro “conversione” in letteratura – alle cadenze della punteggiatura, dunque ad ogni ordine precostituito o comunque strutturato del movimento: “viaggi” sgorganti dal profondo e manifesti nelle liberissime espressioni di Leopold Bloom, di sua moglie Molly, di Stephen Dedalus, protagonisti di quella fondamentale odissea del Novecento che è “Ulysses” di Joyce. Tempo, spazio, viaggio, memoria, e poi indagine, immagine, narrazione. Nel nostro tempo di crisi, di molteplici transizioni, ove tutto – compresi gli elementi basilari della cultura, della scienza, del linguaggio, della percezione – è rimesso radicalmente in discussione, e tutto sembra immerso in un vortice caleidoscopico nel quale i pensieri ed i “volti” che fino ad oggi rappresentavano la realtà finiscono per deformarsi e svanire, intraprendere un “viaggio”, compreso quello a fine documentario, è qualcosa che richiede nuovo coraggio, nuove energie mentali ed interiori. Qualcosa che potrebbe instillare paura, ma anche emanare una fascinazione irresistibile. In fondo, si tratta di viaggiare in un’epoca “notturna”, tempo di speranza e violenza, di amore e disperazione, di distruzione e cambiamento, epoca che soffre nell’oscurità i dolori del suo “cupio dissolvi” e al contempo del parto: presagi di rinascita ancora lontana, di un’aurora che verrà. Sul finire di queste riflessioni “erranti”, è il caso di tornare ancora, un’ultima volta, sul nome “Versus”. Fra i vari significati di questa parola che sembra davvero racchiudere mondi, “versus” vuol dire anche solco, che è “traccia” nella terra. Forse una delle più profonde riflessioni sulla relazione tra terra, come luogo sostanziale, e viaggio, inteso quale percorso esistenziale, ce l’ha offerta Dietrich Bonhoeffer, lo scrittore e teologo luterano che si oppose al regime nazista fino all’estremo sacrificio della vita, compiuto nel campo di concentramento di Flossenburg il 9 aprile 1945 (ed ancora a proposito di memoria, nel 2015 ricorre il 70° anniversario della sua morte). Sono degne di accompagnare qualsiasi “viaggiatore della vita”, sia egli credente o meno, le straordinarie parole del martire tedesco: “È capace di credere al Regno di Dio solamente chi è così in cammino, chi ama la terra e Dio insieme. (…) I pellegrini amano la terra che li porta – e ciò per il solo fatto che essa li porta incontro a quel paese straniero che amano più di ogni altra cosa – altrimenti non sarebbero in cammino. (…) Il Regno di Dio è il regno della resurrezione in terra”. Ogni viaggio degno di tal nome non può che andare verso un limite, interiore o esteriore, per oltrepassarlo in virtù di un’elaborazione che richiede energia, volontà, sofferenza. “Tutto avviene secondo contesa” ci ricorda Eraclito di Efeso. Ma al di là del limite, di ogni limite, altrettante volte ed infinitamente – ancora secondo Eraclito – si apre dinanzi al cuore dell’uomo il mistero dell’incontro con l’illimitato: “Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima, così profondo è il suo logos”.

Armin Viglione