Origini di Castelvenere Partiamo nella nostra indagine da due dati storici incontrovertibili: 1 - Tra il VI e VII secolo cristiano, le contrade oggi chiamate Foresta e Pezza erano abitate da un nucleo di famiglie, da una delle quali, verso l’anno 602, nacque S. Barbato, che divenne poi il 35° vescovo di Benevento e Apostolo del Sannio, e morì il 19-2-682, in età di 80 anni. (Cfr. “Officia propria Sanctorum ecclesiae Beneventanae “, al giorno 19 febbraio - Ediz. 1856, Tip. Dante, Napoli). 2 - Nel maggio 568, i Longobardi, attraverso il Friuli, mossero alla conquista dell’Italia, con una massa di gente intorno a 120 mila, di cui circa 20 mila erano uomini armati. Più che un esercito era una popolazione che trasmigrava, con vecchi, fanciulli e donne. Tra essi erano Sàssoni, Gèpidi e famiglie Danubiane della soggiogata Pannonia, che aveva terre povere e già sfruttate dagli Ostrogoti. Quella moltitudine aveva fame di terre libere e fertili. E’ da notare che, come le tribù stabilitesi nell’alta Italia, così, quelle, che si fissarono nel Sannio, erano composte di gruppi familiari, per più pacifica convivenza e sicurezza comune. E’ noto, poi, che il regno dei Longobardi durò, tra diverse vicende, dal 568 al 774; ma il Ducato Longobardo di Benevento continuò fino a quando, nel 1138, l’Italia meridionale fu unificata dal normanno Ruggero 2°, re di Sicilia. Or, durante il dominio Longobardo, un gruppo di famiglie occupò l’agro arrivato a noi col nome di Castelvenere e quei primi immigrati si chiamarono col nome, trasmessoci dalla tradizione, di “Vieneri “, o anche “Viennei “, secondo Mons. lannacchino. Come tal nome? Non dimentichiamo che con i Longobardi discesero anche famiglie Danubiane, e apprendiamo dalla storia e dalla geografia che nel fiume Danubio sfocia il torrente Wien, presso il quale abitava il gruppo di famiglie immigrato nell’antico agro di Castelvenere. Allora, la lingua italiana era ben lontana dalla sua formazione: mentre la lingua parlata era il latino corrotto, misto ai linguaggi dei conquistatori. E’ giusto dunque dedurre che quei Danubiani si siano qualificati “Wiener Volk “, ossia popolo o gente del Wien, ed anche, con vocaboli latini, siano stati chiamati “Wienei advenae “, -oriundi Wiénei; oggi si direbbero “immigrati dal Wien “, o, più semplicemente, vienesi o viennesi. Ma la tradizione ne ha trasmesso il nome di Wieneri, secondo la dizione Germano-Longobarda, Io ha dato al “ gau” o casale da essi fondato, e tuttora “ Vieneri” lo chiamano i suoi cittadini e i popoli limitrofi. Può ritenersi che quei primi Danubiani erano di religione cristiana, perché S. Severino, morto nel 482, fu Apostolo del popolo Norico e dimorò s~5esso tra la popolazione del Wien. Il Norico e la Pannonia erano regioni danubiane, e il Santo abate vi “fondò diversi monasteri, dove formò una milizia spirituale più forte e più fedele di qualsiasi esercito invasore” (Cfr. Piero Bargellini: “I Santi del giorno “, pag. 15-16). A sostegno della presente nostra indagine, è bene richiamarci un momento alla storia della regione Danubiana. Quando nell’anno 15 a.C. quella regione passò sotto il dominio romano, esistevano presso il torrente Wien due centri abitati, i cui nomi furono latinizzati: uno fu chiamato “Garnuntum” e l’altro “Vindobona “, che, nella seconda metà del primo secolo cristiano, si trasformò in “Castrum Vindobona “. Verso il 395, Carnuntum fu devastato dalle invasioni barbariche e decadde; castrum Vindobona si riebbe e continuò la vita civile. Dopo secoli, con la Casa dei Babenberg (976-1246), Vindobona crebbe rapidamente e divenne punto di contatto fra il mondo germanico, slavo, magiaro e italiano; prese il nome del torrente Wien (1130); nel 1137 figura come città, e nel 1156 divenne residenza ducale. Ecco Vienna, dal torrente Wien, e gli abitanti Wiener, Wienerin, con l’aggettivo Wienerisch. Dunque, il nostro casale “Vieneri” prese tal nome dal torrente Wien, circa tre secoli prima che “Castrum Vindobona” fose passato alla storia con il nome dello stesso torrente: Wien = Vienna. Vàdari S. Barbato è certamente di stirpe Sannita e Vienerese, ma il nome del luogo dove nacque tra le odierne contrade Foresta e Pezza non è arrivato a noi; c’è arrivato, invece col nome di Vàdari, che è un termine Longobardo. Perché questo nome? Bisogna tener presente che il suolo di Castelvenere, fin dall’antichità a causa del suo sito pianeggiante è stato sempre povero di sorgive superficiali, e quindi l’approvvigionamento idrico si è fatto, generalmente, solo dai pozzi, fino alla recente e tanto sospirata rete idrica. Ne tramandano il ricordo tre pozzi pubblici esistenti nel centro abitato. Ciò premesso, è naturale che al luogo natale di S. Barbato sia stato attribuito il nome di Vad, ossia Bad, non nel corrente significato di bagno o terme, ma per denotare l’abbondanza delle acque che dalla Contrada Pantano vi defluivano, in quel tempo, e formavano getti di acqua potabile e per usi domestici, per lavatoi, abbeveratoi di armenti, ed anche per uso irriguo. Gli abitanti del contado furono chiamati Vadarii o Vadari. Avevano il culto di S. Elena e della Madre di Dio, e quando il casale scomparve per cause naturali o per distruzioni belliche rimase alla contrada il nome di S. Elena e Madonna della Foresta. Il Castello Come abbiamo visto, e come è confermato dalle “Rationes Decimarum” del 1308, il “Vieneri” sorse come un casale, fu feudo della famiglia Sanframondo dal 1130 circa, al 1460; passò poi ai Monsorio, famiglia venuta in queste contrade verso il 1420. Verso il 1500, i Monsorio costruirono il castello. Ne troviamo la descrizione in un “ apprezzo” fatto dal tavolario, ossia perito, Giampietro Gallerano, nel 21.9.1638, quando Giovanni Monsorio fu espropriato delle terre di Castelvenere, di S. Salvatore, del feudo Pugliano e di altri beni, che furono venduti al dott. Lelio Carfora prestanome del Duca di Maddaloni. Il Gallerano così scrisse: “Castiel Venere nella Provincia di Terra di Lavoro, sta edificato su luogo piano, fortissimo di muraglia, con fossi attorno, di maniera che dalla parte di tramontana sta eminente, per esservi un vallone sotto, per dove scorrono le acque del paese; s’entra per una porta con ponte levatoio dalla parte occidentale dove si trova una bella strada diritta, di conveniente larghezza, spartuta in vichi da una parte e dall’altra... Fuor di detto Castello, all’incontro della porta sono altre buone abitazioni, con la parrocchia Chiesa di S. Nicola” L’apprezzo s’trova nel Museo Alifano di Piedimente d’Alife (Cfr. Luigi Riccardi: Telesia “, pagg. 103-105 - I. Nazzareno Borrelli, 1927 - Benevento). La torre cadente, denominata da qualche tempo “Torre delle Venere”, è quel che ancora resta dell’abitazione del feudatario Monsorio, che abitualmente dimorava a S. Salvatore Telesino. Come sopra si è detto, Castelvenere, nel 1645, passò al Duca di Maddaloni fino alla fine della feudalità (1806). Nelle decime del 1310, 1325 e 1328 il “Casale Veneri” ha il suo Clero e le sue chiese e cappellanie: S. Elena, S. Barbara, S. Nicola e S. Barbato. elle decime del 1598 è riportato come chiesa parrocchiale, sotto il titolo di S. Nicola. Culto mariano: Dal “Libro Magno” della Curia di Cerreto si rileva che vi era in Castelvenere il culto di S. Maria, di giuspatronato “delli Verrilli “; di S. Maria de Forestà-de Thomasiis; del SS. Nome di Maria, oratorio eretto neI 1702; di S. Maria della Sedia, in onore della quale, nei primi anni di questo secolo, fu eretta una chiesa al così detto luogo “dello scavo , a conclusione di un entusiasmo devozionale, suscitato da pie credenze, nel 1898, a cui presero parte anche i popoli vicini. La costruzione fu cominciata dall’arciprete D. Bartolomeo Ferri e terminata dall’arciprete D. Nicola Di Crosta, su pianta donata dai Signori Piccirilli e disegno del perito guardiese Filippo Pigna. Questo tempio dal 1910 al settembre 1959 funzionò da chiesa parrocchiale, perché l’antica parrocchia di S. Nicola era cadente e fu, in seguito, demolita. Recente è il culto del S. Cuore (Apostolato della Preghiera) e della Immacolata. ALTRI CULTI: S. Nicola di Bari, titolare della Parrocchia, S. Barbato, S. Elena, S. Lucia, S. Tommaso, S. Daniele, S. Marco, S. Anello, S. Pancrazio, S. Basilio, che aveva anche un’edicola nel bosco della “Caldaia “; S. Antonio, S. Simone, S. Sebastiano e S. Rocco, che ha dato il nome ad una contrada di Castelvenere e di Guardia. Nell’agro di Castelvenere esisteva il “Casale Farneti “, ossia Fragneto, che aveva la chiesa di S. Donato con cappellania, come dalla decima del 1325 e 1328. Solenne culto, con festa esterna, viene dato alla gloriosa Madre di Maria SS., Sant’Anna, di cui si conserva un’artistica statua in legno, scolpita nel 1804. Ma la più grande gloria è l’aver dato i natali a S. Barbato 4 di averlo Protettore. Il Fanciullo della contrada Vàdari nei disegni della divina Provvidenza Una croce bizantina rimasta sulla facciata della chiesetta della “Madonna della Foresta “, e l’antico culto verso “5. Basilio” schiudono il sentiero alla nostra ricerca. S. Basilio il Grande, vescovo di Cesarea di Cappadocia ove nacque e morì (330-379), istituì molti conventi monastici e li organizzò con le sue “Grandi Regole “, che gli meritarono il titolo di “legislatore del monachismo orientale “: univa saggiamente “lavoro, preghiera e studio “. I monasteri bizantini basiliani sorsero ben presto nell’Italia meridionale e in Sicilia, e pare che fossero stati favoriti dalla instaurazione del regno dei Bizantini, nel 553, dopo che il generale greco Narsete sconfisse ed uccise gli ultimi due re Goti, Totila e Teia, e riedificò Benevento distrutto da Totila. Comunque, quando nacque Barbato nel 602, era già sorto un cenobio basiliano presso il contado Vàdari. Le doti di bontà e di intelligenza del fanciullo attirarono l’attenzione di quei Monaci, che con somma cura cominciarono a formarlo nelle vie del Signore. E Barbato, nell’ubbidienza, nel lavoro, nella preghiera e nello studio si preparò al ministero sacerdotale. La tradizione, infatti, ci dice che egli esercitò la cura delle anime nella chiesa di S. Basilio di Morcone, dove allora esisteva un monastero basil iano. Ma un campo più vasto gli era assegnato dalla divina Provvidenza. La fama dell’uomo di Dio si era sparsa tra le popolazioni del Sannio, e nella pienezza della sua virilità lo troviamo a Benevento fra i suoi correligionari Basiliani. lì monaco Barbato predica, infiamma, converte e il Signore si compiace di dare una virtù taumaturgica al suo servo. Lì resto è storia conosciuta. Dopo la vittoria su Costante 20 nel 663, il popolo beneventano acclama suo Vescovo il pio monaco Barbato, che per circa 19 anni fu il “buon pastore “, e si addormentò nel Signore il 19-2-682, celebre per la sua santità e splendido per miracoli. Di lui si venera una statua lignea del XV secolo, ritoccata, in Napoli, dallo scultore Cav. Antonio Lebro, nel gennaio-febbraio 1968; come anche la insigne reliquia di una porzione di osso del Santo, ottenuta ed autenticata dalla s. m. di Mons. Salvatore Del Bene, nel 1954. IL CIMITERO: A circa un chilometro dall’abitato, sulla Nazionale Castelvenere-Telese, è sito il nuovo Cimitero dove, dal 1962, trovano degna sepoltura i cari defunti. Fu benedetto da S. E. Mons. Felice Leonardo. La nuova chiesa parrocchiale Sul lato nord della piazza S. Barbato, dalla forma rettangolare e di cospicua ampiezza, si eleva la nuova chiesa parrocchiale con l’attigua casa canonica e lo snello campanile, i cui sacri bronzi, da dieci anni, effondono nell’abitato e per l’estesa campagna, l’invito alla preghiera, alla bontà operosa e alla solidarietà cristiana. Sul lato est della medesima piazza è sito il moderno Palazzo Scolastico delle Scuole Elementari, recentemente ampliato; e sul lato ovest è l’Asilo comunale, costruito nel 1957 e tenuto dalle pie e solerti Suore Eucaristiche di S. Prisco. L’approvazione e il finanziamento per la costruzione della chiesa e della canonica si ottennero per le incessanti premure di S. E. Mons. Del Bene presso le competenti Autorità, e restano l’estrema testimonianza dell’affetto del pio Pastore verso il popolo “vienerese “. Munifico è stàto il contributo del popolo per il completamento dei lavori, e per l’arredamento del tempio. Il progetto è dell’ing. Adriano Pasta dell’Ente IFRI di Roma e fu approvato il 3-4-1957 quasi alla vigilia della morte di Mons. Del Bene. Direttore dei lavori è stato il dott. ing. Ferdinando Ferrigni e la Ditta costruttrice fu quella del Comm. Domenico Maturo & Figli di S. Salvatore Telesino. lì suolo della chiesa e la prima pietra furono benedetti dall’Amministratore Apostolico S. E. Mons. Costantino Caminada il 16-6-1957. Il nuovo tempio fu benedetto solennemente e con gran concorso di Autorità e popolo il 29-9-1959 da S. E. Mons. Felice Leonardo, che vi consacrò l’altare centrale. Promotore efficace delle due costruzioni e della sistemazione della piazza antistante fu il compianto Sindaco dottor Vincenzo Venditti, e collaboratore, instancabile e generoso, continua ad essere l’arciprete D. Armando Verrillo, che dalla sua investitura parrocchiale, avvenuta il 31 maggio 1951, viene dedicando le sue giovanili energie all’elevazione spirituale del suo popolo. S. Maria della Foresta ossia la “Theotocos” bizantina. Nell’agro di Castelvenere, alla contrada Foresta, già nominata, si trova una chiesetta con romitaggio, dove si venera un’antica immagine della Madonna Theotocos, dipinta su tavola, all’uso bizantino: tiene in braccia il Bambino, che mostra con la destra un fiore di colore azzurro. E’ tutto quello che resta del monastero e della chiesa dei Monaci Basiliani. Al muro di prospetto della chiesa, come abbiamo già fatto rilevare, erano incastonate delle croci bizantine, delle quali una sola è rimasta. Quelle croci testimoniavano che l’antico tempio era consacrato. La chiesetta attuale ha un solo altare, è arricchito di indulgenze, e ne aveva la cura l’arciprete di S. Martino di Cerreto Sannita, perché Ferdinando II di Borbone ne assegnò la prebenda al parroco “pro tempore” di S. Martino, per supplemento di congrua. Ma con decreto 8-12-1966 di S. E. Mons. Felice Leonardo, questo beneficio semplice fu traslato alla Parrocchia di S. Nicola di Castelvenere. Questa chiesa, risulta dal foglio 23 del “Libro Magno “, come dedicata a S.. Maria della Foresta e della Annunziata, ed era di diritto di patronato del Duca Carafa, Conte di Cerreto. lì suo culto si mantiene ancora vivo nei fedeli di Castelvenere e dei paesi limitrofi. La festa si celebra l’8 settembre. tratto da: Castelvenere e la sua parrocchia, A. Di Blasio, editoriale De Martini di G. Ricolo e C. s.a.s. |
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